Amarcord nerazzurro giovanile 2013/14

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L’andamento di una stagione di un settore giovanile si può valutare da due punti di vista: i risultati conseguiti e la crescita individuale dei singoli. Ritengo che le questioni citate in causa in realtà siano complementari.Senza crescita individuale dei singoli, non si ottengono risultati. Se (avendo un gruppo sulla carta competitivo) non si ottengono i risultati sperati, significa che la crescita dei singoli non è stata completa. Poi, certamente, ci sono molte variabili: gli infortuni, l’atteggiamento tattico scelto dalle varie squadre, l’efficacia della preparazione, la fortuna e la sfortuna (che in gare ad eliminazione diretta e negli intensi gironi finali giocano un ruolo importante sotto molteplici aspetti). Non penso guasti, sviluppare qualche riflessione su aspetti importanti quali i moduli e l’atteggiamento tattico, intesi come meri strumenti attraverso i quali si cerca di perseguire l’obiettivo “strumentale” del gioco del calcio, cioè la ricerca dell’equilibrio ottimale tra fase difensiva e fase offensiva. Là dove l’obiettivo reale, almeno fino a quando il calcio resterà uno sport agonistico, rimane la vittoria (ottenuta con metodi leciti, giusto precisare sempre per distinguersi da dirigenti, giocatori e tifosi di un’altra squadra corregionale…). Partiamo dall’importanza reale dei moduli nel calcio giovanile, chiedendolo a Daniele Bernazzani Coordinatore tecnico del settore giovanile dell’Inter nel 2013/14: “Esprimo dei semplici pareri come fossero quelle del tifoso, non delle verità assolute e rivelate, e sono consapevole che le mie sono impressioni scaturite dall’esterno (sia pure da un esterno vissuto con continuità) e da una persona che riconosce di non possedere alcuna professionalità, essendo peraltro convinto che anche nel calcio la professionalità un briciolo conti. Cominciamo allora a parlare di moduli. Non considero la questione decisiva, questo è il mio parere.Si può vincere o perdere con tutti i moduli.Spesso è perfino difficile definire la differenza fra un modulo e l’altro.Tra un 3-5-2 e un 4-42- può non esserci nessuna differenza se nel 4-4-2 un centrocampista centrale arretra sulla linea dei difensori per permettere ai “terzini” di attaccare con continuità. Capire la differenza fra un 4-4-1-1 e un 4-2-3-1 è impresa molto ardua, perché tutto dipende dalla posizione degli uomini di fascia i quali per definizione percorrono la stessa verticalmente.Non è dunque il modulo per me, che fa la differenza, ma la scelta degli uomini, le caratteristiche dell’assemblaggio che ne risulta. Con il modulo a tre, per esempio, hai in campo tre difensori puri; con il 4-4-2 “corretto” solo due, più un centrocampista incontrista. Nel primo caso si dovrebbe possedere in teoria maggior solidità difensiva, ma per ritrovare equilibrio devi avere almeno un altro giocatore che interpreta il suo ruolo con caratteristiche più spiccatamente offensive. Facciamo l’esempio del WM, “accusato” di difensivismo. A prescindere dal fatto che sia  un’accusa o… un complimento, la valutazione è corretta se si riferisce all’atteggiamento tattico: il tecnico livornese preferisce infatti aspettare e ripartire. Se invece parliamo di scelta degli uomini, ad esempio, la mia formazione ideale 2013-14 in quanto interista prevedeva tre soli uomini con caratteristiche difensive; due esterni che spesso vengono definiti terzinacci, ma certo sono più bravi ad attaccare che a difendere; tre centrocampisti come Hernanes, Cambiasso e Kovacic (con Guarin e Alvarez prime riserve) che sono tutto fuorché uomini votati alla rottura; infine due punte. Quindi, più che il modulo la questione sembra riguardare la scelta degli uomini e l’idea di calcio: più cinica e solitamente più efficace (aspettare e ripartire) oppure più “moderna” (possesso palla, pressing alto, ecc.). Tuttavia già parlando di modulo emerge una prima curiosità.Nel rapporto tra prima squadra e giovanili, si può notare come nessuna delle formazioni minori adottasse il modulo dei “grandi” (difesa a tre).C’è quindi piena discontinuità tra il modulo della prima squadra e di chi alla prima squadra si prepara.Questa situazione si può valutare in vario modo. Personalmente sono convinto che un po’ di  discontinuità non sia di per sé negativa.Se giochi sempre nello stesso modo, sin da piccolo, non ti completi. Però, magari, avvicinandosi alla prima squadra, potrebbe essere opportuno in qualche modo “specializzarsi”, abituarsi a svolgere dei compiti che poi renderanno più agevole l’eventuale inserimento.
Ma la questione strana è un’altra: non solo le giovanili non giocano come la prima squadra, ma al contrario hanno tutte una disposizione tattica omogenea. Che si voglia parlare di 4-4-2 o di 4-2-3-1 tutte le squadre hanno schierato in stagione una difesa a quattro, con due esterni molto offensivi: due soli centrocampisti centrali, spesso uno più incontrista e uno più costruttore, due esterni alti molto offensivi e due punte.
Questa scelta sembra dunque essere stata assunta centralmente, al livello di dirigenza, soprattutto se si considera che gli allenatori che l’hanno realizzata in passato si sono distinti per atteggiamenti molto più inclini alla ricerca di un equilibrio solido.La Primavera (allenatoe Cerrone vice Luca Facchetti) sempre in quell’anno si è giocata l’ammissione alle finali con questo schieramento:
2 centrali difensivi;
2 esterni bassi molto bravi a spingere;
2 soli centrocampisti (in questo caso dei tuttocampisti, giocatori bravi nelle due fasi);
4 attaccanti
Vediamo ora come si è giocata la squadra dei Giovanissimi Nazionali (allenatore Mandelli) l’ammissione alla Final Eight contro la Juve:
2 centrali difensivi;
2 esterni bassi, di cui uno bravo a spingere e l’altro  addirittura un centrocampista spostato a destra;
2 soli centrocampisti, di cui uno incontrista  e uno molto più forte nel costruire
4 attaccanti
Entrambe le qualificazioni sono state mancate.
Vediamo ora come è scesa in campo la compagine degli Allievi Nazionali (allenatore Corti)nella gara contro il Parma (semifinale di campionato):
2 centrali difensivi;
2 esterni bassi bravi a spingere
2 centrocampisti di cui uno bravo in interdizione  e uno tipicamente offensivo;
4 attaccanti
Abbiamo passato il turno ai rigori, subendo però 4 gol dal Parma (e rincorrendo sempre).
Contro lo stesso Parma che nella regular season era finito sesto nel suo girone, realizzando una media di 1,8 gol a partita (compresi gli incontri con squadre materasso che hanno subito più di 60 reti complessive).
Questi dati rispecchiano l’andamento di tutto il campionato, che ci ha visto schierare squadre poco ciniche, poco speculative, molto allegre e spensierate.Ovviamente, nei gironi i risultati complessivi sono stati migliori (almeno per gli Allievi e i Giovanissimi, essendo qualitativamente più modesto il lotto delle concorrenti).Nessuno può sostenere, per mancanza di controprove, che con un atteggiamento diciamo più prudente le cose sarebbero andate meglio: in fondo anche sul piano dei risultati, gli Allievi hanno raggiunto la finale. La vera delusione viene dalla Primavera che non si è qualificata per la fase finale, ma  non era la più forte; e dai Giovanissimi, anch’essi fuori addirittura dalla Final Eight, accreditati di un livello leggermente inferiore solo a Atalanta e Roma (ma qui la valutazione è soggettiva, perché lo scarto, se esiste – e io non ne sono convinto – è ridotto). Potrebbe essersi anche trattato di scelte individuali dei tre mister, legate a situazioni contingenti (per esempio la carenza di centrocampisti incontristi e l’abbondanza di giocatori d’attacco, estrosi e poco inclini a sacrificarsi). Ma la Primavera anche quando, raramente, ha potuto disporre di centrocampisti solidi ha sempre scelto di schierare un centrocampo a due. Addirittura ha ceduto Steffè, centrocampista di quantità (e non solo), laureatosi campione d’Italia con il Chievo, dopo un campionato molto positivo e disputando una finale da protagonista.Anche negli Allievi, almeno in molte occasioni, ci sarebbe stata la possibilità di schierare un centrocampo a tre molto più solido, con due uomini di quantità  e uno più rivolto alla costruzione.
Discorso un po’ diverso per i Giovanissimi, nel cui gruppo i centrocampisti di quantità scarseggiavano. Di fatto erano solo due. Ma qui il mister nelle fasi decisive ha scelto addirittura di spostare Lazzarini a terzino destro (posizione per la quale non ha chiaramente attitudini, ma il mister riteneva probabilmente che desse più affidamento di chi aveva giocato titolare nel ruolo in stagione).Stando così le cose era inevitabile giocare con due centrocampisti centrali, di cui uno solamente  offensivo .Dirò di più, senza voler pontificare, ritengo che se in casa con la Juve sul 2-0 il mister, vedendo tra l’altro diversi giocatori in crisi atletica, avesse inserito Franzini a terzino, con Lazza centrocampista aggiunto (al posto di uno dei 4 attaccanti) avremmo potuto portare a casa il 2-0 e la qualificazione.
Esaminate le situazioni da questo punto di vista, sembrerebbe proprio che l’indicazione  per squadre più offensive sia venuta dai vertici societari, che del resto hanno allestito rose funzionali a quelle soluzioni.Può essere stato giusto, ci mancherebbe, e del resto proprio un mister mi ha dato una spiegazione possibile (certo non la sola):
“Vogliamo vedere come i ragazzi si esprimono nelle difficoltà, perché è solo in quelle situazioni che si comprende chi sa trovare le risorse per dare qualcosa in più e chi invece è già al top delle sue possibilità”.
Il concetto è molto nobile e costruttivo, peccato però che quel mister applicando concetti di tattica allegra abbia perso nettamente nella stagione i derby e poi, arrivato al momento che conta, abbia finalmente vinto schierando una rigorosa difesa con contropiede.Da tutto questo emergono due considerazioni.La prima, poco significativa lo ammetto : posso schierare tutte le difese e gli attacchi del mondo, ma non rinuncio mai a tre centrocampisti, di cui uno qualitativo e due animali, possibilmente bravini anche con i piedi. La seconda considerazione, se fosse esatta, getterebbe un riflesso sulla finale di domani (e, perché no, sui criteri di gestione della prossima stagione). Nelle partite decisive, quando la distanza tecnica è ridotta diventano determinanti altre componenti: l’umiltà, la ferocia, la volontà di non mollare mai su ogni pallone, di annullare in ogni modo (lecito) l’avversario e ripartire, di non farsi superare in nessun modo, di sacrificarsi per i compagni, la copertura più che attenta e rigorosa. Bisogna giocare come se si fosse inferiori e però si avesse la possibilità di realizzare l’impresa.Chi scende in campo con questo spirito e con questa accortezza tattica, ha già vinto più di metà partita.Insomma, si deve imparare a lottare quasi da professionisti.
In fondo, in ragazzi dai 16 ai 19 anni i miglioramenti tecnici possibili sono abbastanza ridotti, tranne eccezioni.
Sono possibili invece i progressi tecnici e tattici, oltre che atletici.
Quelli che fanno la differenza fra un bel giocatorino e un uomo, un atleta, un protagonista anche nel calcio professionistico