Calcio. Professione Osservatore : la parola a Gabriele Visentin

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Un grande esperto di calcio giovanile ai raggi X. Dopo aver giocato nelle giovanili ed esordito in prima squadra nel ruolo di portiere, a 21 anni prende il patentino “Giovani Calciatori” ed inizia ad allenare e a 23 diviene direttore sportivo e in contemporanea da l’avvio alla sua professione collaborando l’Atalanta, per passare poi al Milan.
Visentin, in che cosa consiste la sua professione?
La mia professione consiste nella ricerca di giovani calciatori nel Triveneto, in Italia e non solo.
Quali sono stati i suoi primi passi all’interno del mondo del calcio?
Nel mondo dei dilettanti prima da giocatore, poi da allenatore, poi da segretario ed infine da ds (società Asd Monastier – Treviso)
Come fece a diventare un osservatore?
Beh, allenando dei giocatori bravi, pensai che alcuni di loro avrebbero potuto giocare in palcoscenici più importanti. Così un giorno, alzai la cornetta del telefono e chiamai in sede dell’Atalanta, chiedendo ai diretti interessati se potevano visionare un ragazzo (Daniel Stefano).
Da quel momento iniziai ad avere un rapporto sempre più intenso con il club bergamasco.I primi tre giocatori che selezionai per l’Atalanta furono Buso, Caverzan e Conte; il primo giocava con il Trevignano Fulgor, gli altri con il Montebelluna.
Cosa significa fare l’osservatore al giorno d’oggi?
Oggi la forma di scouting si è molto evoluta nel corso degli anni, in quanto tutte le società ricercano dei giovani talenti. Purtroppo però molti individui si improvvisano osservatori, senza aver  alcuna esperienza. Questo lavoro non è affatto facile: è frutto di confronti su moltissimi giocatori visionati e diventa essenziale, quindi, aver la capacità di scovare nel calciatore non solo le qualità tecniche-tattiche, ma anche quelle mentali e comportamentali.
Cosa guarda lei in un giovane calciatore?
Le primissime cose che guardo sono il fisico e la coordinazione. Poi ritengo importante la rapidità, sia del piede sia di pensiero, perché un calciatore può essere lento, ma può avere una rapidità mentale eccezionale. Infine mi colpiscono i giocatori che dimostrano grande personalità in campo.
Ci dice un pregio e un difetto della sua professione?
Questa è una bella domanda, da pensarci su. Allora, un pregio è che lavoro nel mondo del calcio, cosa che è sempre stata un sogno, fin da piccolo. Il difetto è che io sono un tipo scrupoloso e spesso, purtroppo, trascuro la famiglia, visto che devo viaggiare molto.
La sua attività si svolge prevalentemente in Italia o all’estero?
Prevalentemente in Italia, ma ho fatto parte di un gruppo scouting del Milan, con il quale abbiamo lavorato a livello internazionale per tre anni.
Lei che conosce l’estero, che differenze calcistiche ci sono tra la cultura italiana e quella delle altre nazioni?
Innanzitutto, all’estero, c’è una cultura sportiva, non calcistica, che in Italia manca. I genitori dei bambini/ragazzi calciatori, all’estero, hanno un comportamento molto diverso da quello dei genitori italiani, in quanto i primi amano lo sport e fanno il tifo per tutti, i secondi incitano solo il proprio figlio/a. Per esempio, sono appena tornato da un torneo in Spagna di squadre professionistiche di giocatori classe 2004 e ho visto i genitori dei ragazzini arrivare tutti vestiti con la divisa della squadra, con trombe e tamburi e facevano il tifo incessantemente, anche se perdevano 7 a 0. In Italia, cose del genere, sono utopia.
Quali sono le scoperte calcistiche di cui va più fiero?
Sono affezionato ai primi tre (Buso, Caverzan e Conte), poi ebbi per due anni tra le mani un certo Alessandro Del Piero, che proposi all’Atalanta, ma poi non fu preso a causa del suo fisico un po’ troppo gracile. Successivamente avevo Orlando a Fossalta di Piave, ma non riuscii a portarlo all’Atalanta, pur avendolo segnalato. Comunque venivano sempre bravi giocatori ai raduni dell’Atalanta da noi organizzati, così quest’ultima decise di farmi il contratto da professionista.
Altri che ricordo con piacere sono Simone Pavan, Dalla Bona, Donati, Padoin, Pasqual e gli ultimi due Petagna e Cristante, i due più giovani calciatori nella storia del Milan ad esordire in Champions League.
Perché secondo lei in Italia si punta ancora così troppo poco sui giovani?
Perché c’è un sistema totalmente abbagliato dalle società, dove, solo adesso, che sono in deficit finanziario, stanno pian piano programmando un futuro più ragionato e con mentalità diversa da quella passata. Poi anche perché non c’è cultura sportiva e mancano dei manager qualificati, in grado di guidare le squadra minori, serbatoio principale per le squadre maggiori.
Cosa consiglia ad un giovano calciatore che vuole diventare un professionista?
Di coltivare il proprio sogno, ma deve sapere che a quei livelli ne arriva uno su 35.000; quindi è importante avere anche un piano B.